Amare oltre il rancore

 

Claudia e Giuseppe sono stati una coppia di sposi per 16 anni.

Il loro è stato un matrimonio felice per chi non ha mai voluto o osato saperne di più.

Sin dai primi anni della loro vita insieme, infatti, le difficoltà sono state molte e varie: in particolare Claudia era caduta in un profondo stato di depressione a causa di una mancata comunicazione con il coniuge e una incapacità di trascorrere del tempo insieme senza precipitare nella critica più aspra, nella mancata riconoscenza della bellezza dell’altro, nella assenza di quotidiani gesti affetto. Giuseppe, dal canto suo, aveva iniziato a trascorrere molto tempo fuori casa, sentendosi non accettato e sempre inadeguato.

Claudia e Giuseppe hanno deciso di comune accordo di separarsi: lei continua a vivere nella casa di sempre, lui si è comprato un appartamento in un paesino non distante.

Sarebbe una storia come, purtroppo, se ne sentono tante.

Ma la vicenda di Claudia e Giuseppe è ai miei occhi davvero fuori dagli schemi per come, per la prima volta davvero insieme i due genitori stanno imparando a portare avanti il legame con il loro unico figlio, Filippo, di 8 anni.

È Claudia che ammette che nonostante tutto l’impegno che ci abbiamo messo, questo rapporto matrimoniale si è concluso. Lo dice con determinazione, dopo un lungo percorso di analisi e non senza dolore. Per riconoscere e accettare di aver tradito una “promessa” che si pensava per sempre, entrambi hanno infatti impiegato molti anni. Forse non si aspettavano che, dopo questo passo di rottura, ne sarebbe seguito un altro che li ha chiamati a costruire, di nuovo insieme. È il loro tempo della genitorialità, è il loro tempo per un amore che in modo del tutto incondizionato, li fa sentire ancora capaci di una fedeltà oltre il dolore.

È un tempo lungo, durante il quale entrambi stanno comprendendo che la conclusione del matrimonio non significa affatto che con esso si debba mettere in discussione o ci si possa sentire esonerati o addirittura incapaci di una sana, duratura e profonda, relazione d’amore con i propri figli.

Giuseppe ha infatti espresso durante un incontro che, neppure volendolo con tutte le sue forze, non può smettere di essere genitore. Credo sia proprio così: possiamo smettere di rivestire molti ruoli, cambiari funzioni e variare le nostre professioni, ma una volta che un uomo si trasforma in padre, una volta che una donna diventa madre (naturali o adottivi che siano), costoro non possono più tornare ad essere “senza figli”.

Vedo negli occhi dei due genitori il desiderio, senza rivalsa l’uno sull’altra, di mantenere quel posto di educatore nei confronti del figlio, che nessuna agenzia educativa e nessuna scuola, neppure d’avanguardia, potrà mai ricoprire.

Claudia e Giuseppe non hanno accettato con rassegnazione o autocommiserazione il proprio ruolo di genitore “marginale” solo per il fatto che l’”altro” non è più il compagno quotidiano. Al contrario, stanno imparando a crescere nel rapporto unico con il proprio figlio, coltivando i tempi e i modi specifici di ogni famiglia che, nella sua singolarità, impara a creare occasione di incontro autentico. Confesso che mi sorprendono quando, davanti a me, si scambiano consigli o preoccupazioni per la crescita di Filippo…

Questi due genitori stanno maturando dal punto di vista affettivo e relazionale: stanno infatti scoprendo che, nonostante essere “genitori per sempre” non sia certo cosa semplice e scontata, non si deve cadere nell’errore di credere che dal momento che la promessa matrimoniale, siglata tra un uomo e una donna adulti e poi non rispettata, debba necessariamente comportare anche il “tradimento” della promessa della relazione affettiva e formativa verso il figlio.

Filippo ha trovato una mamma e un papà che, nel dolore, non hanno smesso di essere onesti con lui: ciò non ha comportato da parte loro il vuotare il sacco del rancore l’uno verso l’altra, quanto piuttosto mantenere sempre e comunque un rapporto genitoriale consapevole e ben orientato, che non ha bisogno di “dire male” dell’altro per ottenere un prestigio.

Filippo ha avuto bisogno di sentirselo dire che mamma e papà avevano scelto di separare la loro vita, e anche di essere rincuorato sul fatto che questo non avrebbe in alcun modo compromesso il legame d’amore che unisce un genitore a suo figlio. È un bambino di 8 anni e non può capire appieno le ragioni che allontanano mamma e papà: lui li vorrebbe sempre insieme… e insieme a lui. Tuttavia la verità a questo figlio è stata detta e ciò gli ha fatto bene. Gli è stata spiegata nei modi che un bambino come lui può comprendere e, sebbene a fatica, accettare.

Giuseppe si sta sentendo un padre migliore perché capisce di non aver deluso proprio figlio: fatica ancora molto a comprendere quando deve dire “sì” e quando è meglio un sano e robusto “no”, ma non smette di confrontarsi e di cercare la via più adeguata. Claudia si sente meno sola nell’educazione del figlio e più forte nelle sue decisioni affettive.

Auguro a Claudia e Giuseppe, tenaci “genitori per sempre”, di tener fede senza sosta alla promessa verso loro figlio Filippo, ovunque i loro affetti li condurranno.

Stefania Cagliani

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